“Ci siamo lasciati nel numero zero di Kapperi!…”
Auspicando la nascita di una nuova arte da cui questa rubrica prende nome da “Mangiarte” e all’annovero di una nuova categoria di “chef artisti” in grado di sconvolgere tutti e sei i sensi. Non dimentichiamoci infatti il sesto senso che cova in ognuno di noi, l’empatia, ovvero la capacità di far sentire agli altri la nostra passione.
Spesso mi domando che relazione ci sia tra Bello e Buono dato che in diverse epoche e, nella maggior parte delle percezioni superficiali, queste due caratteristiche sembrano legate. Bello infatti è un aggettivo che usiamo abitualmente per indicare qualcosa che ci piace. Buono è invece non solo ciò che ci piace, ma che ci appassiona e che desideriamo avere per noi.
“…nei piatti dello chef artista modenese si riconosce l’influenza degli artisti più amati…”
Dunque non sempre ciò che è bello è anche buono. A tal proposito mi vengono in mente le meravigliose torte nutrizionali alla fine di banchetti straripanti che poi fanno rimpiangere tutto ciò che si era precedentemente degustato. Siamo dunque portati a pensare che una cosa brutta non sia anche buona. Ma è davvero così anche per il Cibo? Un tartufo, un culatello, un piatto di trippa fumante o di lumache in umido sono davvero belli? Macchè, sono bellissimi! Ed è evidente che sia così perchè risultano buoni alla maggior parte dei nostri sensi.
Se, infatti, chiudiamo gli occhi e annusiamo finemente fino a inebriarci, assaporiamo profondamente fino ad anestetizzarci, ascoltiamo attentamente fino a ipnotizzarci, ciò che vedremo dinnanzi a noi, riaprendoli, non solo ci apparirà Bello ma sarà Meraviglioso. Dunque, possiamo ben dire che la Mangiarte è l’unica delle belle arti che concilia perfettamente i concetti di Bello e Buono.
E così l’uomo, dalla conquista del fuoco in poi, combina i singoli alimenti in ciò che chiamiamo cibo e i più sensibili tra noi riescono a tramutare le proteine e le vitamine, oltre che in carburante per il fisico, in un elisir per anima e cervello. Seguono il cibo di un’incollatura le bevande, gli spiriti e i puros habanos, benchè queste tre categorie non abbiano gran senso d’esistere senza cibo.
Ma come sempre mi accade, più ragiono e scrivo e più i confini delle cose si dissolvono e i concetti si compenetrano e, dunque, pur sentendo forte e indissolubile la relazione tra Bello e Buono non so più dove cominci l’uno e finisca l’altro e mi abbandono piacevolmente a questo “caos perfetto”.
“…la passione per l’arte contemporanea ‘spinge’ forte nei piatti di Bottura come una spezia magica…”
Il filosofo greco Eraclito asseriva infatti che “la Bellezza armonica del mondo si palesa come casuale disordine”. Secondo la mitologia greca infatti il governo del mondo coincide con l’armonia tra i quattro motti scritti sulla facciata occidentale del tempio di Delfi i quali recitano: “il più giusto è il più bello”; “Osserva il limite”; “Odia la tracotanza”; “Nulla in eccesso”. Tale visione del mondo è posta sotto la protezione di Apollo. Se però ci spostiamo sulla facciata orientale opposta dello stesso tempio di Delfi troviamo raffigurato Dioniso, dio del caos e della sfrenata infrazione di ogni regola. La compresenza di queste due divinità antitetiche non è affatto casuale, ma solo in età moderna è stata teorizzata da Friedrich W. Nietzsche, inventore anche del concetto di Oltreuomo. In estrema sintesi colui che riesce a mantenere un’etica sociale, nonostante non ve ne sia ragione e un equilibrio mentale in grado di accettare il mondo per ciò che in effetti è, secondo la definizione del poeta greco Esiodo, ovvero “scaturito” dalla gola dello sbadigliante caos”.
Allora spero che il buon Friedrich non venga da me in sogno condannandomi al più mortificante “nichilismo passivo” e se azzardo anche in questo secondo numero di “Mangiarte” una nuova teoria che interpreta il cibo come “Oltremateria”, l’unica in grado di sintetizzare alla perfezione l’equilibrio tra ragione e passione, tra ordine e caos, tra Bello e Buono, in un sol dire tra Apollineo e Dionisiaco.
Nel precedente numero zero ho esordito con un doveroso tributo a Gualtiero Marchesi, colui che inseguendo per tutta la vita la sua passione per l’arte ha riscritto le regole della gastronomia moderna. Così, volendo citare in ogni numero di questa rubrica uno chef italiano che considero un’artista, riprendo da Massimo Bottura, 3 stelle Michelin, con la sua Osteria Francescana a Modena, per ben due volte (2016 e 2018) eletta miglior ristorante al mondo da The World’s 50 Best Restaurants e, credo, non a caso, conoscitore dei grandi artisti contemporanei, da Andy Warhol a Tracey Emin, da Pistoletto al Vik Muniz, da Mario Schifano a Maurizio Cattelan le cui opere raccolte in una rara collezione iniziata 25 anni fa insieme alla moglie Lara Gilmore fanno da mise en place nel ristorante modenese, nella loro abitazione e nella nuova Casa Maria Luigia, che rappresenta un video museo didattico di ciò che lo chef e Lara intendono per “ospitalità”.
Questa loro passione per l’arte contemporanea “spinge” forte nei piatti di Bottura come una spezia magica, un ingrediente segreto in grado di rendere visibile la parte invisibile della bellezza, proprio come solo l’arte – e da oggi la Mangiarte – sanno fare. E, come accadde per il maestro Marchesi, anche nei piatti dello chef artista modenese si riconosce l’influenza degli artisti più amati, unitamente al culto della propria terra e delle proprie radici.
Un “happening” con una crostata al limone che ogni volta viene fatta casualmente cadere su di un piatto rotto anch’esso. Il ricordo di un croccante all’amarena fatto di foie gras con un cuore di aceto balsamico. Dei cubi di cotechino bollito non bollito che rappresentano lo sky line di Central Park a New York.
Quanta armonia Apollinea si ritrova nella bellezza di queste forme e quanta tempesta di gusti Dionisiaca nella bontà di queste radici che ci ricordano chi siamo e di queste ali che ci fanno volare lontano.
A cura di Francesco Chiari