L’arte che stimola l’arte
Ed eccoci giunti alla quarta tappa di questo cammino che tenta indolente di districarsi nel dedalo di sensazioni che coinvolgono tutti i cinque sensi, fino a scovare il sesto, ovvero l’empatia tra arte e cucina.
Chissà cosa credeva di aver mai intuito, quando già un secolo fa, un certo Marinetti dettava i canoni anche della cucina all’interno di quella che ancora oggi rappresenta la più importante avanguardia italiana: il Futurismo.
Il tema della mia dissertazione è l’analisi della relazione tra i suoi fondamenti, quali l’entusiasmo, lo spirito di rottura col passato, l’istinto anarchico e la passione per l’azione da una parte ed il cibo dall’altra.
NEL 1930 NASCE QUEL GRUPPO DI ARTISTI a tutto tondo che tra le varie forme espressive praticate all’interno di un movimento ricomprese la cucina: una vera e propria fabbrica di sapori, odori, suoni, colori e sensazioni tattili…
Quando l’impiattamento sceglie lo stile
A testimonianza del fatto che siamo di fronte ad un’avanguardia, per la prima volta nella cucina futurista l’impiattamento segue lo stile che ritroviamo nelle altre espressioni artistiche tendendo a svilupparsi in altezza, come nel complesso plastico mangiabile intitolato “Equatore + Polo Nord”, piatto creato dall’aero pittore Enrico Prampolini, in quanto l’aereo e il volo sono il mezzo e l’a- zione che dettano la quota di tutto il Futurismo ed il cibo è ripensato come carburante di quell’elica che fa volare l’ispirazione del super uomo futurista. Non si tralascia alcun dettaglio, dalle ricette, all’arredo del ristorante futurista, passando dall’abbinamento tra piatti, profumi e musiche fino ad una sorta di prima analisi nutrizionale della storia, la quale presto sfocia in una vera e propria “guerra alla pastasciutta”, rea di far assopire in fase di digestione lo spirito futurista, dibattito che ebbe risonanza mondiale, infuocando i migliori salotti culturali e i cuochi più famosi dell’epoca.
Il Manifesto della cucina futurista
Il Manifesto della cucina futurista edito sulla Gazzetta del Popolo di Torino nel 1930 decretava: “L’abolizione delle posate per dare piacere tattile prelabiale; l’uso di un profumo da abbinare ad ogni vivanda; l’uso della musica tra una portata e l’altra perché ristabilisca una verginità gustativa; l’abolizione dell’eloquenza e della politica a tavola; l’uso dosato della poesia e della musica come ingredienti improvvisi per accendere i sensi e quindi i sapori di una data vivanda; la creazione di bocconi simultanei e cangianti che contengano dieci, venti sapori da gustare in pochi attimi, i quali avranno lo stesso effetto nella cucina futurista che le immagini hanno in letteratura; una dotazione di strumenti scientifici quali ozonizzatori, lampade ultraviolette, elettrolizzatori, mulini colloidali, distillatori”.
La cucina futurista di Marinetti e Fillìa
Furono lo stesso Marinetti insieme a Fillìa, nome d’arte di Luigi Colombo, a scrivere a quattro mani “La cucina futurista” nel 1932, libro che contiene per l’appunto il Manifesto di cotanta scienza gastronomica, con le illustrazioni delle ricette e col racconto del pranzo futurista per eccellenza imbandito l’8 marzo 1931 alla Taverna del Santopalato di Torino. Dunque questa volta non vi racconterò di uno chef artista, bensì di quel gruppo di artisti a tutto tondo che tra le varie forme espressive praticate all’interno di un movimento ricomprese la cucina, in quanto ad “arte che stimola l’arte” in una vera e propria fabbrica di sapori, odori, suoni, colori e sensazioni tattili per stimolare l’estasi sensoriale volta alla creazione di un segno artistico strettamente connesso alla scienza, al progresso e al futuro.
Fu vera arte? Ai posteri l’ardua sentenza.
“Pur riconoscendo che uomini nutriti male o grossolanamente hanno realizzato cose grandi nel passato, noi affermiamo questa verità: si pensa, si sogna e si agisce secondo quel che si beve e si mangia”
– Filippo Tommaso Marinetti (inaugurazione del ristorante futurista Santopalato, Torino, 8 marzo 1931)
di Francesco Chiari