di Annamaria Bernucci
Pesci adriatici e molluschi (ad un occhio più attento, canocchie e ostriche, i tipici ‘rossoli’ cioè le triglie, un’orata), una “natura abbandonata” su un angolo di cucina, raffigurazione illusoria ma che appare ben reale e concreta.
Oltre ai pesci adriatici, semplici cibi d’uso quotidiano, l’aglio e il mezzo limone, la quasi assenza di suppellettili, ad esclusione di quell’ampollina di vetro che rimanda un debole luccicchìo.
I toni dei dipinti sono attutiti, come il timbro dei colori, assorbito dal fondo ombroso. Anche la luce è smorzata creando un’avvolgente intimità.
La semplicità del soggetto non tragga in inganno, rivela invece una rara sensibilità artistica da parte del pittore Nicola Levoli che divenne uno ‘specialista’ di questo genere pittorico e il maggior protagonista della natura morta riminese nel XVIII secolo.
ll suo vero nome era Remigio Policarpo Levoli, figlio di Giacomo, dottore in chirurgia e di Anna Sarzetti, figlia del pittore Angelo, che fu allievo di Carlo Cignani. A 18 anni entra nell’ordine degli agostiniani cambiando il suo nome in Nicola; nel 1747 è a Bologna presso il convento di S.Giacomo Maggiore vestendo l’abito. Entra ben presto in contatto con la pittura bolognese come quella di Giuseppe Maria Crespi e impara sicuramente a conoscere il naturalismo del pittore Arcangelo Resani. Si trattava di vere meditazioni sul vero: la natura morta, si era affermata come genere autonomo nella pittura a partire già dai secoli XVII e XVIII. Un misto di naturalistica evidenza e di poesia, lieve e quotidiana, che deriva dall’osservazione del cibo e degli animali, degli oggetti di uso comune che decorano e riempiono tavole imbandite e che rimandano a succulente preparazioni, a trionfi domestici, composti da pagnotte, cacciagioni e formaggi o appunto pesci stesi su tovaglie bianchissime o a mense casarecce. Richiamando il piacere della elaborazione culinaria o della consumazione delle vivande, non certo per “stomachi deboli” come avrebbe detto Pellegrino Artusi. Il quale sottolineava come «i pesci comuni più digeribili sono il nasello o merluzzo, specialmente se lessato e condito coll’olio e l’agro del limone, ed anche in gratella; la sogliola, il rombo, lo storione, l’ombrina, il ragno, il dentice, l’orata, il palombo, ed anche le triglie fritte o in gratella; ma escludete dalla vostra cucina tutte le specie dei pesci turchini che sono i meno digeribili».